Decreto Madia: al via stabilizzazioni e concorsi riservati. Ma senza risorse nuove non si va lontano

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 23 febbraio, ha avviato l’iter di emanazione del nuovo Testo Unico del pubblico impiego, con l’approvazione dello schema di decreto riguardante Modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego di cui al decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Si tratta di un provvedimento piuttosto complesso, che investe vari aspetti relativi al pubblico impiego e alle amministrazioni pubbliche. Tra questi, l’annoso problema del precariato, per il quale l’art. 20 del decreto prevede alcune norme volte al suo superamento.

In particolare, “al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”, tutte le pubbliche amministrazioni, ad eccezione delle sole istituzioni scolastiche ed educative statali, sono autorizzate, “in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni” e “con l’indicazione della relativa copertura finanziaria”, ad assumere nel triennio 2018-2020 a tempo indeterminato personale non dirigenziale che, alla data di entrata in vigore del decreto, “possegga tutti i seguenti requisiti: a) sia in servizio con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione; b) sia stato già selezionato dalla medesima amministrazione con procedure concorsuali; c) abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.

Inoltre, nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni pubbliche, sempre ad eccezione delle sole scuole e “in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni”, potranno bandire, “previa indicazione della relativa copertura finanziaria” e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che, alla data di entrata in vigore del decreto, “possegga tutti i seguenti requisiti: a) sia in servizio con contratti di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che bandisce il concorso almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.

Il decreto prevede, inoltre, che fino al termine delle suddette procedure assunzionali le amministrazioni interessate, ad eccezione degli Enti di ricerca, non potranno instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile per le professionalità interessate da tali procedure. Le amministrazioni, Enti di ricerca compresi, potranno, invece, prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con quanti partecipano alle suddette procedure fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse utilizzabili per le assunzioni a tempo indeterminato.

A conclusione dell’iter previsto per il decreto gli Enti di ricerca potrebbero quindi finalmente disporre degli strumenti per stabilizzare il personale con contratto a tempo determinato e per bandire concorsi pubblici con una specifica riserva a favore dei precari della ricerca, ma il decreto oltre non va, non potendo comportare oneri economici aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

Purtroppo lo scenario delineato sulla questione “precariato” nel decreto, cosi come per il D.Lgs. 218/2016, deve fare i conti con il vincolo di invarianza degli oneri economici aggiuntivi per il bilancio dello Stato e, pertanto, se il Governo non individuerà nel triennio 2018-2010 congrue risorse aggiuntive, molti Enti di ricerca non saranno nelle condizioni di attuare, nella misura che il livello di precariato richiederebbe, le procedure assunzionali previste nello stesso decreto , lasciando quindi in gran parte insoluto il grave problema del precariato negli Enti.

La battaglia per ottenere risorse aggiuntive per gli EPR, da combattere da subito e su tutti i fronti, diventa ora più che mai prioritaria.

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