Gli eletti dal personale negli organi di governo degli EPR vigilati dal MIUR scrivono una lettera alle Commissioni Cultura di Camera e Senato per chiedere modifiche al d.lgs. 329

Sul d.lgs. 329 (semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca) intervengono anche gli eletti dal personale negli organi di governo degli EPR vigilati dal MIUR i quali, esprimendo un punto di vista “interno” alle comunità scientifiche degli Enti, tentano di dare un contributo per rendere la riforma più aderente non solo alle attese di chi fa ricerca, ma anche al mandato stesso della delega, richiamando l’attenzione sui diritti delle professionalità che operano nella ricerca.

Questo il testo della lettera che riceviamo e volentieri pubblichiamo.

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Onorevoli Deputate/i e Senatrici/ori,

ci rivolgiamo a voi in qualità di componenti eletti dal personale negli organi di governo degli Enti di Ricerca vigilati dal MIUR, perché riteniamo di avere, nel nostro ruolo, una visione “dal di dentro” sulle problematiche del personale che svolge attività di ricerca negli Enti Pubblici. Già lo scorso 17 maggio ci siamo rivolti alle ministre Giannini e Madia per sottoporre alcune considerazioni su quella che all’epoca era la bozza del Decreto Legislativo di attuazione della delega in materia di semplificazione delle attività degli Enti Pubblici di Ricerca (art. 13 della Legge 124/2015). Ora, dopo l’approvazione da parte del governo lo scorso 26 agosto di un testo lontanissimo dalle bozze circolate, scriviamo a Voi per sottoporre qualche riflessione che possa contribuire a rendere la riforma più aderente non solo alle attese di chi fa ricerca, ma anche al mandato stesso della delega.

Come ben sapete lo spirito che ha originato l’art. 13 della Legge 124/2015 mirava a riconoscere per legge la specificità del lavoro della ricerca, collocandolo in un quadro normativo che ne semplificasse le procedure in ogni campo: personale, acquisti, missioni, gestione delle infrastrutture. Negli annunci del governo in più occasioni si era addirittura parlato pubblicamente di una vera e propria “uscita” della ricerca dal perimetro della PA. Certamente il testo faticosamente partorito non arriva a tanto, ma prova almeno ad introdurre alcune norme che garantiscano una maggiore autonomia agli Enti di Ricerca, muovendosi entro gli spazi ristretti lasciati dal vincolo dell’invarianza di spesa da una parte e dalle prerogative dei ministeri vigilanti dall’altra. Vi sono tuttavia alcuni punti sui quali riteniamo indispensabile un vostro intervento, per evitare di varare una riforma che invece di semplificare finisca per punire il sistema della ricerca, in particolare:

  1. il decreto, nella forma attuale, è fortemente incompleto per gli aspetti che riguardano il personale della ricerca, al quale non solo non viene riconosciuto nessun tipo di specificità, ma non viene nemmeno garantito un minimo di trattamento uniforme nei diversi Enti.

  2. I tetti alle spese per il personale proposti dal decreto presentano criticità importanti che richiedono l’introduzione di correttivi.

Riguardo al primo punto giova ricordare il mandato contenuto nella lettera a) dell’art. 13 della legge 124/2015: garantire il recepimento della Carta europea dei ricercatori e del documento European Framework for Research Careers, con particolare riguardo alla libertà di ricerca e all’autonomia professionale; consentire la portabilità dei progetti di ricerca e la relativa titolarità valorizzando la specificità del modello contrattuale del sistema degli enti di ricerca.

Di contro, nel testo del decreto il recepimento della Carta Europea è interamente demandato (art. 2) agli statuti ed ai regolamenti dei singoli Enti, con la semplice indicazione dei diritti generali da garantire (libertà di ricerca, portabilità dei progetti, valorizzazione professionale, tutela della proprietà intellettuale, adeguati sistemi di valutazione e la più ampia partecipazione alle fasi decisionali per la programmazione e attuazione della ricerca, fra cui peraltro non compare l’“autonomia professionale” richiesta invece nella delega). Si tratta di principi generalissimi, che possono essere intesi ed applicati nei modi più disparati, vista anche l’autonomia concessa dal decreto agli Enti nella stesura ed approvazione dei propri statuti. Peraltro l’European Framework for Research Careers non viene nemmeno menzionato nel decreto. L’unico diritto che il decreto arriva a declinare in proprio è quello alla portabilità dei progetti cui è dedicato il comma 6 dell’art.11, ma per il resto la figura professionale di chi svolge attività di ricerca non ha alcun elemento comune che la definisca. L’Italia, patria di Galileo e del metodo scientifico, per definire cos’è un ricercatore è costretta a richiamarsi all’Europa ed a mantenersi sul vago. Per sapere in cosa un lavoratore della ricerca si differenzia da un qualsiasi altro pubblico dipendente bisognerà andare a leggere singolarmente gli statuti dei vari Enti di Ricerca e vedere quali diritti e doveri sono previsti.

La delega inoltre aggiunge alla portabilità dei progetti la valorizzazione del modello contrattuale del sistema degli Enti di Ricerca, perché il contratto di lavoro nazionale è stato fino ad ora l’unico elemento unificante del sistema della ricerca, e quindi l’unico “luogo” in cui è stato possibile fino ad ora implementare norme che tenessero conto della specificità del lavoro della ricerca. Non è un caso che la delega dia mandato al governo di “valorizzare” proprio queste specificità nel testo di legge, perché come noto il comparto di contrattazione della ricerca è ormai superato ed incluso in quello molto più ampio della scuola: in assenza di norme sovraordinate le future trattative possono eliminare o stravolgere gli istituti contrattuali faticosamente costruiti. Eppure nessuno di questi istituti viene recepito o anche solo menzionato nel testo del decreto.

Ci rivolgiamo dunque a voi, che questa delega avete originato con un paziente lavoro parlamentare, chiedendovi di intervenire per colmare le gravi lacune sopra evidenziate. Riteniamo infatti che la particolare autonomia richiesta dal lavoro di ricerca (e sancita dalla Carta Europea) possa essere attuata solo riconoscendo al personale della ricerca diritti e doveri esplicitamente diversi da quelli del resto del pubblico impiego. A nostro avviso è necessario stabilire almeno i seguenti diritti minimali:

  • Tutelare l’autonoma determinazione del tempo di lavoro: la ricerca comporta una disponibilità al lavoro in qualsiasi orario e condizione, che rende inadeguata e in molti casi assurda la misura dettagliata del tempo lavorato o il suo incanalamento in schemi predefiniti.

  • Garantire la partecipazione agli organi di governo degli Enti, in modo che chi fa ricerca possa contribuire in prima persona alla gestione della ricerca e delle sue infrastrutture. Esempi nazionali ed internazionali mostrano chiaramente le istituzioni di ricerca ottengono risultati di eccellenza solo se guidate da una dirigenza che svolge in prima persona l’attività di ricerca.

  • Assicurare la disponibilità costante di opportunità di carriera, in grado di premiare il merito scientifico e tecnologico e di offrire incentivi alla creatività ed all’iniziativa.

  • Garantire che la valutazione sia individuale che dei gruppi di ricerca sia effettuata solamente da esperti dello specifico campo, evitando qualsiasi interferenza di criteri diversi dalla qualità della ricerca.

A nostro avviso tali diritti irrinunciabili andrebbero sanciti esplicitamente, ampliando per esempio lo scarno articolo 2 dell’attuale testo del decreto con 4 semplici commi, che verrebbero per la prima volta a tracciare un profilo minimale delle professionalità della ricerca nella legislazione italiana.

Per quanto riguarda invece il secondo punto elencato in apertura, ci preme segnalare, come già altri hanno fatto, che i tetti alla spesa per il personale sono strumento utilissimo, che deve però essere attentamente valutato:

  • il taglio alla spesa per il personale tecnico-amministrativo al 30% del finanziamento ordinario (art.11 comma 3) è del tutto impraticabile, in quanto il lavoro di tale personale è parte integrante dell’attività di ricerca. Per poter competere nei bandi internazionali e per potersi interfacciare col mondo produttivo la ricerca oggi come non mai deve poter disporre di un supporto amministrativo e tecnico di prim’ordine.

  • il limite di spesa per il personale entro cui è garantita agli Enti piena autonomia di programmazione, fissato all’80% del finanziamento ordinario (art. 8 comma 2), ha impatto molto diverso nei vari Enti, anche a causa della continua riduzione del finanziamento pubblico. Riteniamo tuttavia che si tratti di un obiettivo virtuoso a cui tutti gli Enti debbano progressivamente uniformarsi per invertire la sciagurata tendenza a finanziare ormai la ricerca quasi solamente con fondi esterni, ma sarebbe un errore bloccare totalmente le assunzioni negli Enti che allo stato attuale superano il limite imposto dal decreto. Per mantenere viva la ricerca è indispensabile assicurare un certo ricambio di personale, e continuare ad attrarre menti giovani e innovative. Per questo vi chiediamo di individuare misure correttive che da una parte assicurino a tutti gli Enti di mantenere una minima capacità assunzionale e dall’altra permetta loro di rientrare gradualmente entro parametri più virtuosi.

Siamo certi che sarete sensibili a questi suggerimenti e siamo a vostra disposizione per qualsiasi confronto e chiarimento.

I componenti eletti dalle comunità scientifiche negli organi di governo dei rispettivi Enti di Ricerca:

Enrico Cappellaro (INAF)

Serena Fonda (Stazione Zoologica Anton Dhorn)

Stefano Giovannini (INAF)

Roberto Gomezel (INFN)

Silvestro Greco (OGS)

Vito Mocella (CNR)

Antonio Passeri (INFN)

Nicola Alessandro Pino (INGV)

Giulio Selvaggi (INGV)