I rappresentanti delle comunità scientifiche nei CdA degli EPR, favorevoli allo stato giuridico dei R&T ma preoccupati per le “lacune” del testo MIUR, suggeriscono di…

Stato giuridico

I rappresentanti delle comunità scientifiche nei Consigli di Amministrazione di molti Enti di Ricerca vigilati dal MIUR (INAF, Stazione Zoologica, INFN, OGS, CNR e INGV) hanno scritto ai ministri Giannini e Madia una lettera molto articolata riguardante la bozza del MIUR sul decreto attuativo dell’art. 13 “Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca” della cosiddetta Legga Madia, decreto che dovrà essere approvato entro il prossimo 27 agosto.

I firmatari esprimono “un sostanziale apprezzamento per l’impianto della bozza circolata” e la loro “generale soddisfazione” per “la scelta coraggiosa di non limitarsi a definire il ruolo dei ricercatori e dei tecnologi, ma dare ad essi un vero e proprio stato giuridico”, affrontando “finalmente un nodo irrisolto, per il quale le figure chiave della ricerca pubblica sono definite esclusivamente nel contratto di lavoro, senza che una legge ne tuteli in alcun modo gli specifici diritti e doveri improntati ad una forte autonomia, come sono individuati nella Carta Europea dei Ricercatori”.

Tuttavia, nel sottolineare di avere “a cuore in particolare la valorizzazione dei principi della Carta Europea dei Ricercatori, l’equilibrio nella nuova articolazione delle fasce funzionali e le misure volte a contenere il fenomeno del precariato”, i firmatari ritengono che “senza una revisione di alcuni punti della proposta MIUR gli effetti auspicati potrebbero essere vanificati o addirittura sovvertiti”. Per tale motivo, la lettera contiene anche una serie di proposte emendative volte a:

  1. semplificare e favorire la mobilità bidirezionale fra EPR e Università,
  2. sanare la differenza di status del personale di ricerca dell’INAF e dell’INGV,
  3. definire norme concrete e valide per tutti gli EPR di effettivo recepimento della Carta Europea dei Ricercatori, senza che ciò sia demandato agli Statuti dei singoli Enti,
  4. istituire un organismo di rappresentanza ufficiale dei ricercatori e tecnologi, in analogia con il CUN,
  5. favorire il passaggio alle fasce successive dei numerosissimi ricercatori e tecnologi attualmente inquadrati nel III livello,
  6. inserire misure dedicate al superamento del fenomeno del precariato di lunga durata.

Proposte che in larghissima parte coincidono con quanto da tempo, e in più sedi, l’ANPRI sta chiedendo per far sì che questo decreto attuativo realizzi appieno l’equiparazione tra chi fa ricerca nell’università e chi opera negli Enti di ricerca, dando al contempo soluzione ai tanti problemi che affliggono attualmente le comunità scientifiche degli EPR, dalla cronica difficoltà di fare carriera alla mancanza di un’adeguata rappresentanza negli organi di governo e di consulenza scientifica, dalla assenza di autogoverno all’abuso del ricorso a forme di lavoro “precario”.

Alla lettera indirizzata ai ministri Giannini e Madia i sindacati Confederali (in particolare la FLC-CGIL) stanno reagendo con una inusuale e, a nostro avviso, inappropriata aggressività che rende molto difficile, se non impossibile, svolgere una pacata discussione e una valutazione nel merito della questione “Stato giuridico” che è tutt’altro che nuova e che fa parte delle proposte ANPRI da quasi un trentennio.

Non è certamente nostro compito “difendere” le azioni dei rappresentanti eletti negli organi di governo dei vari enti. Non possiamo però non stigmatizzare quella che rappresenta una strumentalizzazione molto grave delle parole dei rappresentanti eletti, i quali hanno chiaramente dichiarato di parlare a nome proprio e non di coloro che rappresentano nei CdA dei propri Enti. Viene da pensare che le loro opinioni siano considerate legittime solo se rivolte in una precisa direzione. Chi si meraviglia dei contenuti della lettera dovrebbe, invece, interrogarsi sul segnale lanciato da così tanti rappresentanti eletti dal personale: dal momento che essi hanno ottenuto larghi consensi nei loro enti, si è davvero sicuri che i Ricercatori e Tecnologi degli EPR siano contrari a norme di stato giuridico?

Quali sono i motivi di questa “levata di scudi” contro lo stato giuridico dei R&T e la relativa decontrattualizzazione? In particolare, ci domandiamo se non ci siano in realtà motivazioni meno ideali di quelle dichiarate. Perdere la rappresentatività contrattuale dei R&T comporterebbe per i sindacati confederali una inevitabile riduzione degli introiti, una drastica riduzione dei distacchi e permessi sindacali e una radicale diminuzione del potere di influenza, non sempre visibile e trasparente, nelle scelte organizzative, gestionali e politiche degli enti.

L’ANPRI, una associazione i cui membri svolgono l’attività associativa senza usufruire dei distacchi sindacali (a cui avrebbero diritto) e senza rinunciare alla loro attività di ricerca, continua invece a pensare che la tutela per legge dei diritti e doveri dei R&T degli EPR non solo rappresenti un doveroso segnale di equiparazione alla docenza universitaria ma sia anche un passaggio essenziale per rendere più libera e autonoma la ricerca pubblica.

 

 

Questa notizia è stata pubblicata nella newsletter ANPRI n. 11 del 3 giugno 2016.

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