Decreto Madia sul pubblico impiego: in attesa che inizi l’esame del Parlamento, anche il Servizio Studi delle Camere ravvisa eccesso di delega

Lo schema del “Decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 23 febbraio, è stato presentato al Parlamento per il prescritto parere, da rendere entro il 29 aprile 2017. Al momento, l’esame da parte delle Commissioni parlamentari dello schema di decreto, il cui testo coincide con quello da noi commentato nella Newsletter 5/2017, non è ancora stato avviato.

Il Servizio Studi di Camera e Senato ha invece pubblicato un Dossier nel quale l’articolato predisposto dal Governo viene puntualmente analizzato.

In tale Dossier trova conferma quanto da noi segnalato nella Newsletter 5/2017 a proposito del probabile eccesso di delega nelle modifiche alla contrattazione collettiva nazionale introdotte negli artt. 1, 3 e 11 dello schema di decreto. In particolare, l’art. 1 modifica l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 prevedendo: 

  • la possibilità per i contratti collettivi di derogare a disposizioni di legge, regolamento o statuto, che già abbiano introdotto o che introdurranno una disciplina del rapporto di lavoro;

  • la delimitazione di tale derogabilità alle sole materie affidate alla contrattazione collettiva;

  • la non derogabilità dei “princìpi” posti dal D.Lgs. 165/2001;

  • l’esclusione della contrattazione integrativa dalla possibilità di derogare;

  • la soppressione della clausola attualmente prevista che ammette la derogabilità solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.

In merito a tali modifiche, il Servizio Studi ha osservato che “la disciplina della contrattazione collettiva nel pubblico impiego e dei rapporti tra questa e la legge, non figura tra le materie di cui all’articolo 17 della legge-delega n. 124 del 2015; si valuti, pertanto, se l’introduzione di modifiche a tale disciplina sia riconducibile alle finalità di cui alle lettere b) e c) dell’articolo 16, della legge-delega n. 124/2015. […] disposizioni che intervengono sulla disciplina della contrattazione collettiva nel pubblico impiego sono contenute anche agli articoli 3 e 11 del provvedimento; analoghe considerazioni, pertanto, valgono anche per tali disposizioni.”

In effetti, le succitate lettere b) e c) dell’art. 16, comma 1, della legge-delega 124/2015 prevedono che, nell’esercizio della delega, il Governo si deve attenere ai seguenti principi e criteri direttivi generali: “b) coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; c) risoluzione delle antinomie in base ai principi dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia”.

Altre perplessità sulla coerenza con la legge-delega riguardano le forme e i termini del procedimento disciplinare, oggetto dell’art. 13 dello schema di decreto che modifica l’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001 al fine di dare attuazione all’art. 17, comma 1, lettera s), della legge-delega 124/2015 che prevede la “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.

In particolare le modifiche introdotte dall’art. 13 prevedono “che i vizi del procedimento disciplinare (ossia la violazione dei termini e delle disposizioni che lo disciplinano), ferma l’eventuale responsabilità del dipendente cui essi siano imputabili, non determinano la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, siano comunque compatibili con il principio di tempestività”.

A tale riguardo, l’Ufficio Studi ha osservato che “la normativa vigente (articolo 55-bis, comma 4, ultimo periodo) prevede, invece, a garanzia della durata certa del procedimento disciplinare, che «la violazione dei termini […] comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa». Le modifiche proposte dal provvedimento in esame comporterebbero, quindi, la trasformazione dei termini del procedimento disciplinare da perentori a (meramente) ordinatori”.

Il carattere non perentorio del termine massimo di durata del procedimento disciplinare, nonché il suo prolungamento – dagli attuali 60 giorni a 90 giorni – deve quindi essere valutato alla luce del principio di delega che richiede la “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.

Secondo il Servizio Studi, la possibilità di “violare” le disposizioni del procedimento, senza che ciò infici la validità degli atti, potrebbe invece rappresentare un eccesso di discrezionalità per l’amministrazione, avendo come unico (ipotetico) freno la “irrimediabile compromissione del diritto di difesa” del dipendente.

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